Ricerca Censis-Aima: sono 600mila i malati di Alzheimer in Italia, sempre di più e sempre più anziani

Sono 600mila i malati di Alzheimer in Italia, sono sempre più vecchi e, a causa dell’invecchiamento della popolazione, sono destinati ad aumentare. È quanto emerge dalla terza ricerca realizzata dal Censis con l’Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer), con il contributo di Lilly, presentata oggi a Roma che ha analizzato l’evoluzione negli ultimi sedici anni della condizione dei malati e delle loro famiglie.
L’età media dei malati di Alzheimer è di 78,8 anni (era di 77,8 anni nel 2006 e di 73,6 anni nel 1999) e l’Italia è il Paese più longevo d’Europa, con 13,4 milioni gli ultrasessantenni, pari al 22% della popolazione.
E sono invecchiati anche i caregiver impegnati nella loro assistenza: hanno mediamente 59,2 anni (avevano 54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999). Pur essendo sempre i figli dei malati a prevalere tra i caregiver, in particolare per le pazienti femmine (in questo caso i figli sono il 64,2% dei caregiver), negli ultimi anni nell’assistenza al malato sono aumentati i partner (sono passati dal 25,2% del totale del 2006 al 37% del 2015), soprattutto se il malato è maschio.
Questo dato spiega anche l’aumento della quota di malati che vivono in casa propria, in particolare se soli con il coniuge (sono il 34,3% nel 2015, erano il 22,9% del 2006) o soli con la badante (aumentati dal 12,7% al 17,7%). Nell’attività di cura del malato, i caregiver possono contare meno di un tempo sul supporto di altri familiari: nel 2015 vi fa affidamento il 48,6%, mentre nel 2006 era il 53,4%.

Fonte: http://agensir.it/quotidiano/2016/2/24/ricerca-censis-aima-sono-600mila-i-malati-di-alzheimer-in-italia-sempre-di-piu-e-sempre-piu-anziani/

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Impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer, dati Censis Aima

ROMA – 600mila malati di Alzheimer in Italia, numero destinato ad aumentare. Questi alcuni dei dati diffusi oggi da Censis e Aima Associazione italiana malattia di Alzheimer nel rapporto Impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer e presentati a Roma presso la biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”.

In Italia e nel resto del Mondo su stima Adi (Alzheimer’s Disease International) si assiste a un nuovo caso di demenza ogni 3,2 secondi. In Italia l’età media delle persone malate di Alzheimer è di 78,8 anni, nel 1999 era di 73,6 anni. Invecchia la popolazione dei malati e invecchiano contemporaneamente anche i caregiver che hanno in media 59,2 anni, 53,3 anni nel 1999.

Ancora sui caregiver. La persona che assiste il malato dedica 4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza. “Il 40% dei caregiver, pur essendo in età lavorativa, non lavora e rispetto a dieci anni fa tra loro è triplicata la percentuale dei disoccupati (il 10% nel 2015, il 3,2% nel 2006). Il 59,1% dei caregiver occupati segnala invece cambiamenti nella vita lavorativa, soprattutto le assenze ripetute (37,2%). Le donne occupate indicano più frequentemente di aver richiesto il part-time (26,9%). L’impegno del caregiver determina conseguenze anche sul suo stato di salute, in particolare tra le donne: l’80,3% accusa stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si ammala spesso”. Aumentano i malati che vivono nella propria abitazione, 34,3% nel 2015 contro il 22,6% del 2006.

I caregiver nella gran parte dei casi sono i figli dei malati, nel 37% dei casi i partner, nel 38% dei casi badanti. Diminuisce il supporto che il caregiver può ricevere dagli altri familari, dal 53,4% nel 2006 al 48,6% nel 2015. Il 47,8% dei caregiver dispone di tempo libero legato alla disponibilità di servizi e farmaci per Alzheimer. La percentuale sale al 68,8% nel caso abbia il supporto di una badante.

Fonte: http://www.quotidianoprevenzione.it/malattie/ricerca/rapporto-dati-alzheimer-in-italia.html

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Alzheimer. In Italia 600.000 i malati. Per loro tra assistenza e costi indiretti si spendono più di 42 mld di euro. Ricerca Censis-Aima

Il dato nell’ultima ricerca del Censis effettuata in collaborazione con l’Associazione italiana malattia di Alzheimer. Di questi costi, pari a più di 70mila euro a testa, il grosso è per i cosiddetti costi indiretti. L’assistenza sanitaria vera e propria pesa infatti solo per il 27% del totale. E a pagare il conto sono prima di tutto i familiari che assistono i malati, i cosiddetti caregiver. Una cifra pazzesca che potrebbe essere ridotta solo con l’adeguamento e il potenziamento dei servizi pubblici. LA RICERCA

24 FEB – Sono 600mila i malati di Alzheimer in Italia e a causa dell’invecchiamento della popolazione sono destinati ad aumentare. L’Adi (Alzheimer’s Disease International) ha stimato a livello mondiale per il 2015 oltre 9,9 milioni di nuovi casi di demenza all’anno, cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi.

Il costo medio annuo per assistere questi pazienti è stato stimato pari a 70.587 euro pro capite, comprensivo dei costi a carico del Servizio sanitario nazionale, di quelli che ricadono direttamente sulle famiglie e dei costi indiretti (gli oneri di assistenza che pesano sui caregiver, i mancati redditi da lavoro dei pazienti, ecc.).

Moltiplicandolo per il numero dei malati la cifra fa paura: 42,352 miliardi di euro l’anno, di cui “solo” 11,364 miliardi per le cure sanitarie e assistenziali in senso stretto. Il grosso va per le cosiddette spese indirette, che in questo caso pesano per la quasi totalità sul caregiver, ovvero il familiare e/o i familiari che si prendono cura dei malati.

È quanto emerge dalla terza ricerca realizzata dal Censis con l’Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer), con il contributo di Lilly, che ha analizzato l’evoluzione negli ultimi sedici anni della condizione dei malati e delle loro famiglie.

La dimensione economica dell’assistenza. Il costo medio annuo per paziente, comprensivo sia dei costi familiari che di quelli a carico del Ssn e della collettività, è di 70.587 euro, di cui il 27% circa (18.941 euro) sono costi diretti e il 73,2% costi indiretti (51.645 euro). Per quanto riguarda  i costi diretti, la quota più significativa è rappresentata dai costi legati all’assistenza informale (60,1%) che è al 100% a carico delle famiglie. Le spese sanitarie legate agli accessi all’Uva e ai ricoveri in strutture ospedaliere (totalmente a carico del Ssn) rappresentano il 5,1% del totale dei costi diretti, mentre le spese per l’accesso ai servizi socio-sanitari costituiscono il 19,1% dei costi diretti e sono articolate con quote più consistenti (70% e oltre) a carico del Ssn per l’assistenza formale, l’Adi, i centri diurni e un carico equamente ripartito tra Ssn e famiglie per i ricoveri in strutture socio-sanitarie e assistenziali come le Rsa.

Altre categorie di spesa, quelle per le attività ambulatoriali, come visite, analisi e attrezzature e ausili sanitari rappresentano il 7,7% del totale dei costi diretti e risultano principalmente a carico del Ssn (78,3%); le spese per i farmaci (3,9% del totale dei costi diretti) vanno distinte tra quelle relative a farmaci specifici per Alzheimer, che ricadono principalmente sul Ssn, e quelle per farmaci non specifici la cui spesa appare quasi ripartita tra famiglie e Ssn. Infine, sono stati considerati gli esborsi per le modifiche dell’abitazione, costi sostanzialmente a carico delle famiglie e che rappresentano il 3,1% dei costi diretti.

I costi indiretti sono per definizione a carico della collettività e rappresentano la quota più consistente, pari al 73,2%, del totale. Sono costi stimati monetizzando gli oneri di assistenza che pesano sul caregiver, che rappresentano il 97% circa del totale dei costi indiretti, a cui si aggiunge anche la piccola quota rappresentata dai mancati redditi di lavoro dei pazienti.

Per effettuare la valutazione dei costi è stata utilizzata la medesima metodologia delle due precedenti indagini e il confronto con i dati rilevati in precedenza ha messo in luce un progressivo incremento dei costi diretti che, considerando l’andamento in valori reali, tra il 2006 e il 2015 risultano aumentati del 13,3% (il confronto tra il 1999 e il 2015 mette in luce un incremento ben più ampio e pari al 91,0%), in particolare risulta più ampia la quota gravante sulle famiglie per l’accesso ai servizi socio-sanitari. Si assiste allo stesso tempo a un lieve aumento (0,2%) dal 2006 al 2015 dei costi indiretti, a fronte di un andamento nel periodo complessivo che mette in luce una riduzione di questa tipologia di costo (-14,0%).

Malati e caregiver invecchiano insieme. L’età media dei malati di Alzheimer è di 78,8 anni (era di 77,8 anni nel 2006 e di 73,6 anni nel 1999). Il 72% dei malati è costituito da pensionati (22 punti percentuali in più rispetto al 2006). E sono invecchiati anche i caregiver impegnati nella loro assistenza: hanno mediamente 59,2 anni (avevano 54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999). Il caregiver dedica al malato di Alzheimer mediamente 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza.Il 40% dei caregiver, pur essendo in età lavorativa, non lavora e rispetto a dieci anni fa tra loro è triplicata la percentuale dei disoccupati (il 10% nel 2015, il 3,2% nel 2006). Il 59,1% dei caregiver occupati segnala invece cambiamenti nella vita lavorativa, soprattutto le assenze ripetute (37,2%). Le donne occupate indicano più frequentemente di aver richiesto il part-time (26,9%). L’impegno del caregiver determina conseguenze anche sul suo stato di salute, in particolare tra le donne: l’80,3% accusa stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si ammala spesso.

Ad assistere i malati sono soprattutto figli e badanti. Pur essendo sempre i figli dei malati a prevalere tra i caregiver, in particolare per le pazienti femmine (in questo caso i figli sono il 64,2% dei caregiver), negli ultimi anni nell’assistenza al malato sono aumentati i partner (sono passati dal 25,2% del totale del 2006 al 37% del 2015), soprattutto se il malato è maschio. Questo dato spiega anche l’aumento della quota di malati che vivono in casa propria, in particolare se soli con il coniuge (sono il 34,3% nel 2015, erano il 22,9% del 2006) o soli con la badante (aumentati dal 12,7% al 17,7%). Nell’attività di cura del malato, i caregiver possono contare meno di un tempo sul supporto di altri familiari: nel 2015 vi fa affidamento il 48,6%, mentre nel 2006 era il 53,4%. La badante rimane una figura centrale dell’assistenza al malato di Alzheimer: ad essa fa ricorso complessivamente il 38% delle famiglie. La presenza di una badante ha un impatto significativo sulla disponibilità di tempo libero del caregiver. Se complessivamente il 47,8% dei caregiver segnala un aumento del tempo libero legato alla disponibilità di servizi e farmaci per l’Alzheimer, tra chi può contare sul supporto di una badante la percentuale cresce di oltre 20 punti percentuali (68,8%) e di circa 30 punti nel caso in cui il malato usufruisca della badante e di uno o più servizi (77,1%).

Più consapevolezza sulla malattia, ma tempi lunghi per la diagnosi. Il 47,7% dei caregiver afferma di aver reagito subito alla comparsa dei primi sintomi della malattia del proprio assistito, interpellando il medico di medicina generale (47,2%), lo specialista pubblico (33,1%) o lo specialista privato (13,6%). Solo il 6,1% si è rivolto immediatamente a una Uva (Unità di valutazione Alzheimer). Tuttavia, la gran parte degli intervistati dichiara di aver ricevuto la diagnosi da un professionista diverso da quello consultato per primo (63,1%). A formulare la diagnosi di Alzheimer è principalmente lo specialista pubblico (65,5%), in particolare un neurologo (nel 35,6% dei casi) o un geriatra (29,9%), e solo per il 13,4% è stato uno specialista privato. Nel tempo si è ridotta la percentuale di pazienti che hanno ricevuto la diagnosi da una Uva (dal 41,1% nel 2006 al 20,6% nel 2015), mentre è aumentata la quota di diagnosticati dallo specialista pubblico (era  il 37,9% nel 2006, è il 65,5% oggi). Il tempo medio per arrivare a una diagnosi resta elevato, pur essendo diminuito da 2,5 anni nel 1999 a 1,8 anni nel 2015.

Il ricorso ai farmaci. Il panorama dei trattamenti farmacologici disponibili per i malati di Alzheimer ha subito nell’arco di tempo intercorso tra le tre indagini notevoli trasformazioni, con il passaggio dalla non disponibilità gratuita dei farmaci specifici appena immessi in commercio, gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (rivastigmina, donepezil e galantamina), indicati per i malati con uno stadio non avanzato della patologia, alla loro rimborsabilità secondo quanto previsto in prima istanza dal Progetto Cronos. La somministrazione di tali farmaci, sulla base della Nota 85 dell’AIFA, era gratuita nel 2006 e nel 2009 la gratuità è stata estesa anche alla memantina, farmaco indicato per gli stadi più gravi della patologia. Nonostante la gratuità dei farmaci specifici, questa indagine ha messo in luce una lieve riduzione della percentuale di malati che fanno ricorso a tali farmaci (passando dal 52,0% del 1999 al 59,9% del 2006 fino al 56,1% del 2015). Viceversa, si presenta in aumento la porzione di malati di Alzheimer che utilizza farmaci per disturbi del comportamento (69,8%), rispetto all’indagine precedente (62,8%), e si tratta più frequentemente di farmaci volti al controllo di sintomi come l’agitazione, le allucinazioni e i deliri (35,8%) e secondariamente di farmaci per il sonno (28,3%) o per stati di depressione (22,5%) o ansia e agitazione (19,5%). Si presenta invece minima la percentuale di pazienti che fa uso di farmaci non specifici per Alzheimer (4,5%), cui si fa ricorso per migliorare la memoria o la circolazione cerebrale, farmaci che 2006 erano assunti dal 20,7% dei rispondenti.

Un’assistenza sempre più informale e privata. Diminuisce di 10 punti percentuali rispetto al 2006 il numero dei pazienti seguiti da una Uva o da un centro pubblico (56,6%). Quando la patologia è più grave il dato è ancora più basso (46%). Si abbassa leggermente anche la percentuale di pazienti che accedono ai farmaci specifici per l’Alzheimer: dal 59,9% al 56,1%. Ed è diminuito il ricorso a tutti i servizi per l’assistenza e la cura dei malati di Alzheimer: centri diurni (dal 24,9% al 12,5% dei malati), ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali (dal 20,9% al 16,6%), assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale (dal 18,5% all’attuale 11,2%). Ampio è invece il ricorso all’assistenza informale privata: i malati che possono contare su una badante sono il 38%. Alla badante si fa ricorso principalmente utilizzando il denaro del malato (58,1%). Ma rispetto al passato emerge il peso inferiore delle risorse del malato (nel 2006 rappresentavano l’82,3% delle risorse destinate alle badanti), che appaiono bilanciate da un più ampio ricorso all’indennità di accompagnamento e al denaro dei figli o del coniuge.

“I tre studi realizzati da Censis e Aima negli ultimi sedici anni evidenziano come stia progressivamente cambiando il mondo dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie”, ha detto Ketty Vaccaro, responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis. “È un mondo che invecchia e cresce l’impatto della malattia in termini di isolamento sociale. La famiglia è ancora il fulcro dell’assistenza, ma può contare su una disponibilità di servizi che nel tempo si è ulteriormente ristretta, mentre sono ancora presenti le profonde differenziazioni territoriali dell’offerta”, ha concluso Vaccaro.

“Oggi l’obiettivo di una cura efficace per i malati di Alzheimer sembra essere più vicino, ma è importante che, oltre al frenetico lavoro degli scienziati, anche i sistemi sanitari e la società in generale riflettano su quale sia un possibile modello di gestione della patologia e delle sue ricadute socio-sanitarie – ha detto Eric Baclet, Presidente e Ad di Lilly Itali – siamo certi che, di fronte ai dati epidemiologici e all’impatto socio-economico di questa patologia, solo attuando uno sforzo sinergico tra tutti gli attori potremo trovare una strategia di azioni sostenibili, volte a migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro caregiver: dalla prevenzione alla diagnosi certa, dai trattamenti farmacologi al percorso assistenziale adeguato ai bisogni”.

Fonte: http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=36753

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Alzheimer, un nuovo caso ogni tre secondi

ROMA – L’Alzheimer, una realtà con cui 600 mila italiani fanno i conti. E nel Paese più longevo d’Europa, con il 22 per cento della popolazione ultrasessantenne, i malati di Alzheimer sono destinati ad aumentare. Oltre 11 miliardi di euro destinati all’assistenza, di cui il 73 per cento a carico delle famiglie, per un costo medio annuo per paziente pari a circa 70 euro, sommando i costi di cui si fanno carico il Servizio sanitario nazionale e le famiglie. Lo rileva la ricerca Censis – Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer), con il contributo di Lilly, presentata a Roma alla Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”.

Sono alti i numeri dell’Alzheimer: secondo l’Adi – Alzheimer’s Disease International, nel 2015 sono oltre 9 milioni di casi di demenza all’anno, un nuovo caso ogni 3 secondi. “Dopo le due ricerche fatte, quella del 1999 e del 2006, fotografare la situazione delle famiglie ci è apparsa una necessità per far tornare il tema della demenza senile nell’agenda politica”, dice Patrizia Spadin, Presidente di Aima, sottolineando come negli ultimi anni solo pochissime regioni abbiano adeguato i propri piani sanitari per i malati di Alzheimer.

Il profilo del malato e del caregiver. L’età media dei malati con Alzheimer si è alzata. È di 78,8 anni nel 2015, (nel 2006 era di 77,8 e nel 1999 di 73,6). Il 72 per cento dei malati sono pensionati, (con un aumento di 22 punti rispetto al 2006). Quello dell’Alzheimer è un mondo al femminile: la patologia è più diffusa tra le donne (65,9 per cento, mente il 34,1 per cento uomini).

E in un Paese così longevo, invecchia il malato ma anche chi se ne occupa. Ecco allora che il caregiver – chi si prende cura del malato – ha una media di 59 anni, (nel 2006 aveva 54 anni e nel 199, 53 anni). Se le ore in media al giorno dedicate al malato sono oltre 4, e 10 di sorveglianza, il 40 per cento dei caregiver, pur essendo in età lavorativa, non lavora. E chi ha un impiego spesso è costretto a richiedere il part time, (il 26 per cento delle donne lo fa). Un impegno costante, che spesso incide sulla salute. E a farne le spese sono soprattutto le donne: stanchezza, poco sonno, depressione. A formulare la diagnosi di Alzheimer è in primis lo specialista pubblico (63,5 per cento), in particolare un neurologo o un geriatra, mentre chi ha ricevuto la diagnosi da una Uva – Unità di valutazione Alzheimer- è stato il 20,6 per cento (nel 2006 er il 40 per cento).

I pazienti affetti da Alzheimer sono sempre più relegati all’ambito di cura delle famiglie – il 38 per cento dei figli che si occupano dei propri genitori, lo fa con l’aiuto di una badante -. “Questo dà l’idea di un Paese che non è inserito in un grande modello di cura e di intervento, perché siamo un Paese vecchio, orientato a guardare indietro. Non sono più adeguati gli interventi di sinergia tra pubblico e privato, tra volontariato e famiglie. È un panorama di sinergie in diminuzione”, dice Giuseppe de Rita, Presidente del Censis. Basti pensare i pazienti seguiti da una Uva o da un centro pubblico, rispetto al 2006, sono diminuiti di 10 punti (56 per cento). Dati in controtendenza rispetto a quanto emerso nel 2006, quando veniva evidenziato nell’assistenza medica ai malati di Alzheimer l’importante ruolo delle Unità di Valutazione Alzheimer. Il ricorso a strutture riabilitative e assistenziali è sceso dal 20 al 16, quello all’assistenza domiciliare integrata dal 18 all’11. Cresce invece la realtà dell’assistenza informale privata e allora appare fondamentale il ricorso alle badanti.

Se la consapevolezza della complessità della malattia è aumentata, il salto di qualità sotto il profilo operativo non è ancora stato fatto. “Temiamo quello che avevamo definito come effetto perverso dell’intervento delle famiglie  e delle badanti nella cura dei malati di Alzheimer, quindi la deresponsabilizzazione dell’assistenza pubblica –sostiene Ketty Vaccaro, Responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis, – Serve una rete di servizi pubblici subito”. Altro tema centrale è quello della disponibilità economica per sostenere le cure.

“Cosa succederà in una società che deve far fronte a difficoltà del sistema previdenziale?”, chiede la Vaccaro. Ci sarebbe il Piano nazionale Demenze, pubblicato lo scorso gennaio, che dovrebbe essere tradotto in legge, come ricorda Teresa Di Fiandra, Direzione Generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute. “Stiamo verificando il piano operativo di ciascuna regione e lavorando nelle aree di criticità. Speriamo di definire i centri dove viene fatta la prima diagnosi del paziente e seguito nella cura, con una mappatura in costante aggiornamento, per sensibilizzare le regioni meno avanti sul tema”.

Fonte: http://sociale.corriere.it/alzheimer-un-nuovo-caso-ogni-tre-secondi/

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SOS ALZHEIMER: UN CARICO INSOPPORTABILE PER TROPPE FAMIGLIE

26/02/2016  Sono 600 mila, in Italia. Il carico dell’assistenza pesa sempre più su coniugi e figli, specie quando non ci sono i soldi per ricorrere a una badante. I familiari del malato sono lasciati sempre più soli: il sostegno dell’assistenza pubblica sta crollando. Ecco la desolante fotografia che emerge dalla ricerca del Censis realizzata insieme all’Associazione Italiana malattia di Alzheimer.

Il 73% del prezzo per l’assistenza che i malati di Alzheimer devono sostenere sono a carico dalle famiglie. Il dato lo rivela il Censis che insieme all’Aima, Associazione italiana malattia di Alzheimer, ha presentato una ricerca che mostra per la prima volta l’entità dei costi che subisce chi è colpito da questa malattia: in media 70.587 euro all’anno, compresi quelli a carico del Servizio Sanitario Nazionale, quelli che ricadono direttamente sulle famiglie e i costi indiretti (gli oneri di assistenza che pesano su chi presta aiuto), nonché i mancati redditi da lavoro dei pazienti.

Nel complesso in Italia sono 600.000, il 60% di coloro che hanno patologie legate alla demenza. Ma il numero è destinato a crescere: secondo l’Adi (Alzheimer’s Disease International) la stima è che nel 2015 ci siano stati nel mondo 9,9 milioni di nuovi casi, uno ogni 3,2 secondi, il 30% in più rispetto al 2010. Se si considera che l’Italia è il Paese più longevo d’Europa – gli ultrasessantenni, ci ricorda ancora il Censis, sono 13,4 milioni – si può capire l’entità del fenomeno.

Le cui dimensioni sono confermate anche dai dati presentati poche settimane fa da Pronto Alzheimer, la prima linea telefonica in Italia di aiuto e consulenza per i familiari dei malati. L’associazione che fornisce assistenza telefonica e orientamento ha ricevuto nel 2015 4.877 richieste di aiuto, 140.000 nei suoi 22 anni di vita.

«È un mondo che invecchia», dice la responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis  Ketty Vaccaro, «e cresce l’impatto della malattia in termini di isolamento sociale. La famiglia è ancora il fulcro dell’assistenza, ma può contare su unadisponibilità di servizi che nel tempo si è ulteriormente ristretta, mentre sono ancora presenti le profonde differenziazioni territoriali dell’offerta».

Ma il problema, rivela lo studio del Censis, non è solo la condizione dei malati, è anche quella dei familiari. L’età media dei cosiddetti caregiver – coloro che prestano assistenza, spesso appunto familiari – è salita dai 54,8 anni nel 2008 ai 59,2 di oggi. Dedicano ai malati mediamente 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza. L’altro problema è che il 40% dei caregiver non lavora, anche se è in età lavorativa.

Nel 2006 i disoccupati erano il 3,2%, oggi il 10%. Fra chi dedica assistenza spiccano, ovviamente, le donne: il 26,9% di loro ha richiesto il part time. E sono provate: l’80,3% accusa stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si ammala spesso. I familiari sono importanti (i figli sono il 64,2%, il 37% il partner specie se il malato è maschio), ma centrale è il ruolo delle badanti: sono presenti nelle case del 38% dei malati e sono fondamentali per far tirare il fiato ai familiari.

Anche perché l’assistenza è sempre meno pubblica. Nel 2006 i pazienti seguiti da una “Unità Valutativa Alzheimer” o da un centro pubblico era più del 66%, oggi solo il 56,6%. Altro dato preoccupante è l’abbassamento della percentuale di pazienti che accedono ai farmaci specifici scesi dal 59,9% al 56,1%. Il ricorso a tutti i servizi per l’assistenza è in calo sempre rispetto al 2006: nei centri diurni vanno 12,5% dei malati (erano il  24,9%); i ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali passa dal 20,9% al 16,6%; crolla anche l’assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale: dal 18,5% all’attuale 11,2%.

La badante viene pagata soprattutto con i risparmi o la pensione del malato (nel 58,1% dei casi), ma nel 2006 i malati mettevano sul piatto della loro assistenza l’82,3% della copertura. Oggi in parte è bilanciata da un più ampio ricorso all’indennità di accompagnamento. Oppure dai soldi dei figli o del coniuge, che non bastano mai.
Giulio Sensi

Fonte: http://www.famigliacristiana.it/articolo/sos-alzheimer-un-carico-insopportabile-per-troppe-famiglie.aspx

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Alzheimer: 600mila i malati in Italia. Un nuovo caso ogni tre secondi

ROMA, 25 FEBBRAIO 2016 – Lo rileva la ricerca Censis – Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer), con il contributo di Lilly, presentata a Roma alla Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”. I costi diretti dell’assistenza ammontano a oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie.

Sono 600.000 i malati di Alzheimer in Italia. È quanto emerge dalla terza ricerca realizzata dal Censis con l’Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer), con il contributo di Lilly, che ha analizzato l’evoluzione negli ultimi sedici anni della condizione dei malati e delle loro famiglie.

Il 18% dei malati vive da solo con la badante e i costi diretti per l’assistenza superano gli 11 miliardi di euro, di cui il 73% è a carico delle famiglie. I malati di Alzheimer nel nostro paese, a causa dell’invecchiamento della popolazione, sono destinati ad aumentare (l’Italia è il Paese più longevo d’Europa, con 13,4 milioni gli ultrasessantenni, pari al 22% della popolazione). L’Adi (Alzheimer’s Disease International) ha stimato a livello mondiale per il 2015 oltre 9,9 milioni di nuovi casi di demenza all’anno, cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi.

L’età media dei malati con Alzheimer si è alzata. È di 78,8 anni nel 2015, (nel 2006 era di 77,8 e nel 1999 di 73,6). Il 72 per cento dei malati sono pensionati, (con un aumento di 22 punti rispetto al 2006). La patologia è più diffusa tra le donne con il 65,9 per cento, mente il 34,1 per cento uomini.
Una speranza per i malati arriva dalla ricerca del Policlinico Gemelli: la stimolazione elettrica sulla testa, studiata per ora su topolini, potenzia la memoria e in futuro potrebbe essere efficace in anziani con deficit cognitivi.

«Oggi l’obiettivo di una cura efficace per i malati di Alzheimer sembra essere più vicino, – ha detto Eric Baclet, Presidente e Ad di Lilly Italia – ma è importante che, oltre al frenetico lavoro degli scienziati, anche i sistemi sanitari e la società in generale riflettano su quale sia un possibile modello di gestione della patologia e delle sue ricadute socio-sanitarie». «Siamo certi che, di fronte ai dati epidemiologici e all’impatto socio-economico di questa patologia – ha poi concluso –, solo attuando uno sforzo sinergico tra tutti gli attori potremo trovare una strategia di azioni sostenibili, volte a migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro caregiver: dalla prevenzione alla diagnosi certa, dai trattamenti farmacologi al percorso assistenziale adeguato ai bisogni».
Giuseppe Sanzi

Fonte: http://www.infooggi.it/articolo/alzheimer-600mila-i-malati-in-italia-un-nuovo-caso-ogni-tre-secondi/87095/

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Emergenza Alzheimer: 600mila malati in Italia. In calo l’assistenza pubblica

Una recente indagine condotta dal Censis con l’Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer) con il contributo di Lilly, ha analizzato l’evoluzione negli ultimi sedici anni della condizione dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie in Italia.

Il quadro che ne scaturisce è che si calcolano 600.000 malati di Alzheimer in Italia, di cui il 18% vive solo con la badante. I costi diretti per assicurare l’assistenza superano gli 11 miliardi di euro, di cui il 73% è a carico delle famiglie. Sempre più informale e privata l’attività di cura e sorveglianza: nella metà dei casi se ne occupano i figli, il 38% ha il supporto di una badante.

Ma l’Italia rappresenta anche il Paese più longevo d’Europa (con 13,4 milioni gli ultrasessantenni pari al 22% della popolazione), per cui questa malattia sarebbe destinata ad aumentare con il tempo.

Da sottolineare l’impatto socio-economico che questa patologia comporta. Ciò che si evidenzia con l’analisi fatta è che sarebbe necessario uno sforzo sinergico tra tutti gli attori per migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro assistenti. I tre studi realizzati da Censis e Aima negli ultimi sedici anni evidenziano infatti come cresce l’impatto della malattia in termini di isolamento sociale. La famiglia è ancora il fulcro dell’assistenza, ma può contare su una disponibilità di servizi che nel tempo si è ristretta.

L’età media dei malati di Alzheimer è salita a 78,8 anni (era di 77,8 anni nel 2006 e di 73,6 anni nel 1999), mentre gli assistenti di queste persone ne hanno in media 59,2 anni (avevano 54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999) e si tratta soprattutto di figli e badanti le cui cure costanti comportano anche su loro stessi danni alla salute. A dimostrazione quindi di un’assistenza sempre più informale e privata.

Diminuisce infatti del 10% rispetto al 2006 il numero dei pazienti seguiti da una Uva o da un centro pubblico (56,6%). Quando la patologia è più grave il dato è ancora più basso (46%). E si abbassa anche la percentuale di pazienti che accedono ai farmaci specifici per l’Alzheimer: dal 59,9% al 56,1%. Al contempo si è ridotto il ricorso a tutti i servizi per l’assistenza e la cura dei malati di Alzheimer: centri diurni (dal 24,9% al 12,5% dei malati), ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali (dal 20,9% al 16,6%), assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale (dal 18,5% all’attuale 11,2%).

Ampio è invece il ricorso all’assistenza informale privata: i malati che possono contare su una badante sono il 38% per la quale si fa ricorso principalmente utilizzando il denaro del malato (58,1%).

A formulare la diagnosi di Alzheimer è principalmente lo specialista pubblico (65,5%), in particolare un neurologo (nel 35,6% dei casi) o un geriatra (29,9%), e solo per il 13,4% uno specialista privato. Nel tempo si è inoltre ridotta la percentuale di pazienti che hanno ricevuto la diagnosi da una Uva (dal 41,1% nel 2006 al 20,6% nel 2015), mentre è cresciuta la quota di diagnosticati dallo specialista pubblico (il 37,9% nel 2006, il 65,5% oggi). Infine si evince che il tempo medio per arrivare a una diagnosi resta comunque elevato, pur essendo diminuito da 2,5 anni nel 1999 a 1,8 anni nel 2015.

Fonte: http://www.irpinianews.it/emergenza-alzheimer-600mila-malati-in-italia-in-calo-lassistenza-pubblica/

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Alzheimer, 600 mila malati quasi tutti a carico delle famiglie

Si può prevenire l’Alzheimer? Tecnicamente no, ma stili di vita regolari aiutano. Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva, parla della demenza degenerativa a margine della presentazione dei nuovi dati Censis- Aima:  600mila malati in Italia per un’assistenza che costa 11 miliardi di euro, di cui il 73% è a carico delle famiglie. L’intervista di Maria Grazia Abbate.

Fonte: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/600-mila-malati-di-alzheimer-quasi-tutti-a-carico-delle-famiglie-e43d2209-f763-479a-9496-173a6366ea69.html

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Alzheimer, in Italia 600 mila malati e 11 miliardi di costi

Il 73% è a carico delle famiglie. Aumenta l’età media delle badanti, diminuisce la disponibilità di servizi

di AB

Sono 600.000 i malati di Alzheimer in Italia. Numeri destinati a crescere negli anni a causa dell’invecchiamento della popolazione. L’Italia è infatti il Paese più longevo d’Europa, con i suoi 13,4 milioni gli ultrasessantenni, pari al 22% della popolazione.

Un problema non solo di salute ma anche economico. I costi diretti per l’assistenza superano gli 11 miliardi di euro, di cui il 73% è a carico delle famiglie.

Secondo una recente ricerca realizzata dal Censis con l’Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer), negli ultimi sedici anni la condizione dei malati e delle loro famiglie è peggiorata.

Nella metà dei casi sono i figli a occuparsi della cura del malato, mentre il 38% ha il supporto di una badante.

«Sta progressivamente cambiando il mondo dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie» – ha detto Ketty Vaccaro, responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis. «È un mondo che invecchia e cresce l’impatto della malattia in termini di isolamento sociale. La famiglia è ancora il fulcro dell’assistenza, ma può contare su una disponibilità di servizi che nel tempo si è ulteriormente ristretta».

L’Adi (Alzheimer’s Disease International) ha stimato a livello mondiale per il 2015 oltre 9,9 milioni di nuovi casi di demenza all’anno, cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi.

Cresce oltre all’età media dei malati anche quella di chi li assiste. I pazienti hanno in media 78,8 anni (77,8 anni nel 2006 e 73,6 anni nel 1999), mentre i caregiver impegnati nella loro assistenza hanno in media 59,2 anni (avevano 54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999).

Una situazione che ha ripercussioni anche sullo stato di salute soprattutto delle donne caregiver: l’80,3% accusa stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si ammala spesso. I caregiver infatti possono contare sempre meno sull’ausilio di strutture e servizi di supporto. I dati a riguardo evidenziano una generale flessione: centri diurni (dal 24,9% al 12,5% dei malati), ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali (dal 20,9% al 16,6%), assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale (dal 18,5% all’attuale 11,2%).

Rispetto a dieci anni fa è diminuito anche di 10 punti percentuali il numero dei pazienti seguiti da una Uva o da un centro pubblico (56,6%). Un dato in ulteriore decremento nei casi più gravi della malattia (46%). In leggera flessione anche la percentuale di pazienti che accedono ai farmaci specifici per l’Alzheimer: dal 59,9% al 56,1%.

Fonte: http://www.policliniconews.it/ricerca-e-cura/alzheimer-in-italia-600-mila-malati-e-11-miliardi-di-costi/

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Alzheimer, in Italia colpiti in 600mila. Malati sempre più anziani

Aumentano i casi di Alzheimer in Italia. Sono 600mila le persone malate di Alzheimer rispetto alle 520mila del 2006. E il numero è destinato ad aumentare ancora a causa dell’invecchiamento generale della popolazione. È la fotografia scattata dal Censis in collaborazione con Aima, Associazione italiana malattia di Alzheimer, con riferimento al 2015. L’indagine arriva 9 anni dopo l’ultimo report su questa malattia neurodegenerativa.

(Per approfondire leggi qui: Alzheimer trasmissibile? L’ipotesi in una ricerca)

Sale anche l’età media dei malati di Alzheimer, pari oggi a 78,8 anni rispetto ai 77,8 anni del 2006 e ai 73,6 anni del 1999. E con i pazienti sono invecchiati anche i caregiver, le persone impegnate nella loro assistenza: hanno mediamente 59,2 anni (avevano 54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999). Tra i caregiver dominano ancora i figli dei malati, soprattutto se i pazienti sono di sesso femminile, anche se ultimamente sono aumentati i partner, soprattutto donne. Questi dati spiegano anche l’aumento della quota di malati che vive in casa propria, più di 1 su 3 è solo con il coniuge mentre il 17,7% lo è con una badante.

Sull’Alzheimer c’è più consapevolezza

Il 47,7% dei caregiver afferma infatti di aver reagito subito alla comparsa dei primi sintomi di Alzheimer del proprio assistito, rivolgendosi nella maggior parte dei casi al medico di medicina generale seguito dallo specialista pubblico e da quello privato. Tuttavia la gran parte degli intervistati dichiara di aver ricevuto la diagnosi da un professionista diverso da quello consultato per primo. A formulare la diagnosi è principalmente lo specialista pubblico: una diagnosi su 3 arriva da un neurologo. Ma il tempo medio per ottenere una diagnosi resta elevato, seppur in calo, ed è pari a 1,8 anni.

(Per approfondire leggi qui: Alzheimer, un nuovo test per la diagnosi)

L’assistenza dei malati di Alzheimer si fa sempre più informale e privata: è diminuito il ricorso a tutti i servizi per l’assistenza e la cura dei malati diAlzheimer. Censis e Amia si sono soffermati anche sull’impatto economico della patologia: i costi diretti dell’assistenza ammontano a oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie

Fonte: http://www.humanitasalute.it/prima-pagina-ed-eventi/44817-alzheimer-italia-600mila-censis-foto/

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http://www.repubblica.it/salute/medicina/2016/02/24/news/alzheimer_in_italia_sempre_piu_malati_in_casa_e_sempre_meno_aiuto_pubblico-134161842/

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http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=38916

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Guarda il video dell’intervista alla Dott.ssa Ketty Vaccaro, Direttore Welfare della Fondazione CENSIS: http://www.pharmastar.it/index.html?pgnav=12&id=3109

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Per consultare il documento di sintesi della ricerca Censis sull’impatto economico-sociale della malattia di Alzheimer clicca qui.

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Per leggere il comunicato stampa del Censis visita il sito: http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121049

Ricerca Censis-AIMA sull’Alzheimer: 600mila malati in Italia, uno ogni 3 secondi, e sempre più anziani
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